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mercoledì 6 novembre 2019

ROBOT SUL LAVORO

Entro 3 anni i robot sostituiranno 120 milioni di lavoratori: lo rivela uno studio.

Si sente sempre più spesso parlare di intelligenza artificiale e di sviluppi della robotica che riguardano aspetti sempre maggiori della vita quotidiana: di sicuro, già oggi, siamo circondati da robot e strumenti in grado di compiere processi e operazioni che, fino a qualche anno fa, sembravano davvero impensabili.

Le logiche di produzione e le necessità di profitti fanno sì che l'impiego dell'intelligenza artificiale sia sempre più vasto, così come l'utilizzo della robotica, anche e soprattutto a livello industriale. Ed è così che la figura del lavoratore che usa le sue abilità fisiche e mentali potrebbe avere davvero i giorni contati, sostituita sempre più da macchine in grado di compiere il suo stesso lavoro in modo più rapido e produttivo.

Vi sembra esagerato? Aspettate a dirlo, perché stando a uno studio diffuso dal colosso informatico statunitense IBM, nel giro di poco tempo moltissimi operai potrebbero dover cambiare mansione proprio a causa della robotica.

120 milioni. questo è il numero di lavoratori che, in tutto il mondo, potrebbero "pagare" le conseguenze della diffusione sempre più massiccia di robot "intelligenti". In che modo? Secondo la IBM, o trasferendosi, o riqualificandosi - e dunque imparando nuove mansioni - o, più semplicemente, cambiando del tutto lavoro.

È ovvio che prospettive del genere potrebbero portare anche a maggiori possibilità di licenziamenti da parte dei datori di lavoro. A seconda delle intenzioni di ogni singola azienda, secondo lo studio, in Cina saranno oltre 50 milioni i lavoratori che dovranno cambiare ruolo o sede di lavoro, in America 11,5 milioni e in Brasile 7,2.

A seguire, tutti gli altri, con la statistica chiusa da Giappone e Germania, Paesi che, stando ai dati raccolti, potrebbero essere più propensi a valorizzare l'operato umano piuttosto che quello robotico.

Spostamenti, nuova formazione, ripensamento totale di quanto si svolge da tempo non sono certo prospettive facili da attuare, ed è per questo che, sempre secondo l'azienda informatica statunitense, è necessario riflettere con criterio su quanto peso si voglia dare ai robot e all'intelligenza artificiale, onde evitare esperienze spiacevoli per molte persone.

I progressi della robotica sono innegabili, così come l'immensa utilità di macchine "intelligenti" in molti campi. Nonostante questo, sarebbe bene tenere sempre conto che il lavoro delle persone, in carne, ossa e cervello, è sempre importante. Ogni lavoratore porta con sé storie, competenze, umanità ed emozioni: qualità che difficilmente potranno essere soppiantate da una macchina.

lunedì 14 ottobre 2019

SULLE API

Al di là dell’elaborazione del miele, l’attività delle api --- gli esseri più importanti per la sopravvivenza dell'uomo! --- è legata primariamente al trasporto del polline, di cui si impregnano le loro zampette nel succhiare il nettare dai fiori, favorendo così la fecondazione e la formazione di frutti e degli stessi fiori: un lavoro insostituibile, che garantirebbe o avrebbe garantito, se l'uomo non ne avesse gravemente compromesso la sopravvivenza, la produzione di almeno un terzo dei prodotti che l’uomo stesso e le altre specie consumano quotidianamente.

Infatti, l'uso cosmico di pesticidi, fertilizzanti chimici e fitormoni ---- padroneggiato e propagandato da perfide multinazionali, soprattutto quelle legate ad industrie chimiche, a loro volta succedanee di quelle del petrolio ---- ha inquinato le terre e le acque di tutti i mari, laghi e fiumi, sconvolgendo così il ciclo delle stesse acque e quindi dell'atmosfera, con i gravi fenomeni climatici di cui ci avvisano quotidianamente, ma, soprattutto, ha messo a tappeto molte delle 20.000 specie di api prima presenti sul pianeta.

Esse impollinano una gran parte delle colture con cui si sfamano gli abitanti della Terra: il 60% della produzione di frutta e verdura, così come circa 25.000 specie di piante da fiore, dipendono infatti dalla loro presenza.

Ma al giorno d'oggi, a causa dei motivi suddetti ---- industrie del petrolio e chimiche ----, si assiste nel mondo ad una moria come generalizzata di esse, con l'aggravante del problema delle api assassine o africanizzate, pericolosi ibridi creati in laboratorio intorno agli anni '70, che hanno invaso i tre continenti con relativi gravissimi danni per l'ecosistema, e per la stessa produzione di miele.

Tutto questo si è tradotto in carestie ed in una diminuzione della diversità del cibo, quindi di sani alimenti, causando peraltro ingenti danni economici a milioni di agricoltori.

Ma l'uomo è testardo! Ancora oggi non si chiudono raffinerie e pozzi di petrolio -- che inquina mari cieli e terre, e di cui ne servirebbe ben poco, data l'ampia disponibilità del più innocente gas --, e della quasi totalità delle  industrie chimiche collegate all'oro nero.

I padroni del vapore dovrebbero pensare al contrario ad immediate estese coltivazioni di canapa, dai mille usi, e di alberi e piante da frutta, più che di fiori, se non di campo, e poi saponifere, per rimediare alla bell'e meglio i danni realizzati nelle acque e sulle terre, nonché nei cieli, che non forniscono risposta.

giovedì 1 agosto 2019

EFFETTI SULL'UOMO DELLE EMISSIONI DEI GAS DI SCARICO DEGLI AEREI

Nella troposfera e nella stratosfera inferiore le emissioni dei gas di scarico dovuti ai carburanti con cui vengono alimentati gli aerei, in particolare quelli militari,  contribuiscono notevolmente alla perdita dell'ozono (che circonda il globo, e lo protegge dalle radiazioni ultraviolette provenienti dal sole, recentemente colmatosi di macchie) e aumentano incredibilmente il cosiddetto effetto serra.

Invero, le emissioni degli aerei sono l'unica fonte diretta di inquinanti nella troposfera superiore e nella stratosfera inferiore, con un effetto spropositato sulla formazione di ozono e sull'induzione di effetto serra, il quale induce un'alterazione delle condizioni climatiche sull'intero pianeta.

Le emissioni dei gas di scarico degli aerei nelle vicinanze degli aeroporti, poi, contribuiscono notevolmente anche a problemi locali di inquinamento, come la formazione di ozono a livello del suolo, con un'azione aggressiva sugli organismi umani e vegetali.

Ora, invece di mettere a terra immediatamente la flotta aerea civile e militare, o quantomeno di ridurla al lumicino (chiudendo, pur con un certo equilibrio, i voli), pensando subito alla costruzione di aerei alimentati ad innocuo idrogeno, si continuano a sfornare aerei a cherosene, e si prevede poi un vertiginoso aumento dei voli, in vista del miglioramento delle condizioni dei Paesi emergenti e della popolazione globale.

Il buco dell'ozono, in tal modo, si allarga sempre più, e inoltre aumenta l'effetto serra, con alterazione del clima.

Le previsioni per la salute dell'uomo, dunque, rimangono catastrofiche, se non si rimedia immediatamente, mettendo a terra gli aerei inquinanti.


MAR GLACIALE ARTICO ALTAMENTE RADIOATTIVO

Enormi quantità di materiale nucleare giacciono sui fondali poco profondi del Mare di Kara, una porzione del Mare Glaciale Artico a nord della Siberia. La notizia, rilanciata dal quotidiano norvegese Aftenposten tramite la pubblicazione di alcuni documenti forniti dalle autorità russe, sta causando grande preoccupazione nei paesi che si affacciano sulla costa artica. Diciassettemila fusti di rifiuti radioattivi, diciannove navi contenenti rifiuti tossici, quattordici reattori nucleari (di cui cinque contenenti combustibile nucleare esausto), settecento pezzi di armamenti contaminati e addirittura un sottomarino nucleare con i suoi due reattori, sono il pesante lascito imposto alle gelide acque glaciali dalla corsa agli armamenti portata avanti dall’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Voci circa i pericoli per la salute pubblica e l’ambiente nell’area del Mare di Kara erano circolate fin dal 1992. Nel marzo del 1993 la conferma che l’URSS avesse utilizzato per trent’anni questi fondali come discarica nucleare, in palese violazione della Convenzione di Londra del 1972 (firmata anche da Mosca), era stata data direttamente dal governo russo attraverso un dossier contenente dettagliate informazioni sulle pratiche di dumping nei mari artici. Facevano parte di questa prima lista ben tredici reattori nucleari rimossi dai sottomarini della Flotta del Nord e affondati da Mosca tra il 1965 e il 1988 nei fiordi dell’arcipelago di Novaja Zemlja, ed il sommergibile K-27, con i suoi due reattori carichi di combustibile nucleare fatto colare a picco nel 1981. Successivamente una valutazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) inserì tra le cause di allarme anche altri tre reattori del rompighiaccio nucleare Lenin, nave ammiraglia della flotta sovietica di base a Murmansk, smaltiti nella zona occidentale del Mare di Kara. Tuttavia la recente documentazione pubblicata dall’Afternposten fotografa una situazione di gran lunga peggiore di quanto si fosse pensato finora. Secondo il giornale norvegese «nessuno può garantire che le informazioni sul materiale smaltito dai sovietici siano complete» ed è impossibile stabilire con precisione quanta spazzatura radioattiva sia stata effettivamente scaricata in mare. «Ora è compito della Russia procedere alla bonifica dei fondali,è soprattutto loro interesse procedere in questo senso». Un ostacolo alla conquista dell’Artico – La preoccupazione per la contaminazione radioattiva del Mare di Kola rischia di fungere da paravento per nascondere mastodontici interessi economici. Uno dei futuri progetti ritenuti primari della Russia è infatti l’esplorazione delle riserve di gas e petrolio nei territori artici. Un obiettivo che Mosca è pronta a difendere con le armi, ma che oggi si scontra con il problema irrisolto dei rifiuti nucleari sommersi. Alle scoperte significative di gas e petrolio in questo territorio non sono ancora seguite infatti le trivellazioni, anche se già nel 2010 il colosso russo dell’energia Gazprom ha annunciato la sua intenzione di procedere all’estrazione dei circa 38.000 metri cubi di gas e petrolio che si trovano al di sotto del Mare di Kara. Nasce dunque da qui la necessità di mappare i materiali pericolosi in fondo al mare prima dell’avvio dell’attività estrattiva. In caso contrario, a detta degli esperti, c’è il pericolo che le perforazioni dissotterrino la spazzatura nucleare che i sovietici hanno cercato di isolare in speciali contenitori soggetti oggi a corrosione, con conseguenze disastrose lungo tutta la costa artica. Nell’ipotesi migliore il rilascio delle sostanze radioattive avverrebbe gradualmente, ma la possibilità di un evento improvviso e catastrofico non lascia dormire sogni tranquilli. È questo uno dei punti salienti della documentazione pubblicata dall’Aftenposten e che riguarda il rischio di un’esplosione dei reattori del sommergibile K-27, finora sottovalutato dalle autorità russe. Sul fronte norvegese, dopo aver dichiarato di aver ignorato fino ad oggi l’inquietante incognita rappresentata dal vecchio relitto, il ministro dell’Ambiente Bård Vegar Solhjell ha tentato di minimizzare i pericoli connessi alla presenza nel Mare di Kara di materiale: «La gente non deve essere turbata da questi documenti, almeno finché non sapremo se c’è seriamente qualcosa per cui allarmarsi». Intanto la Russia ha già istituito una commissione speciale che avrà il compito di localizzare e mappare i rifiuti nucleari presenti nelle proprie acque territoriali con una missione in cui lavoreranno fianco a fianco esperti russi e norvegesi. Uno sforzo diplomatico notevole e pressoché inedito per il governo di Mosca, solitamente allergico a far mettere naso nei propri affari agli stranieri. Dunque un grande passo avanti nelle relazioni tra Federazione Russa e Norvegia, che secondo altre interpretazioni non sarebbe nient’altro che una velata richiesta d’aiuto dei russi per risolvere un problema troppo grande.

giovedì 4 luglio 2019

DETRITI ATTORNO AL GLOBO TERRESTRE

La generazione attuale, e ancor più quella prossima a venire, si troverà a dover affrontare non solo l'inquinamento gravissimo delle acque e dei terreni, ma anche quello dei cieli: chi non ha sentito parlare dei detriti spaziali?

In orbita attorno alla Terra ce ne sono circa 8mila tonnellate (composte da 29mila oggetti di oltre 10 centimetri e da più di un milione di frammenti troppo piccoli per essere tracciati), derivanti da satelliti abbandonati e da interi stadi di lancio missilistici, che, esaurita la loro funzione, vengono sganciati e rimangono a fluttuare nello spazio periorbitale, e inoltre da scaglie di vernici, polveri, materiale espulso dai motori dei razzi, liquido refrigerante rilasciato dal satellite nucleare rorsat. Inoltre, 20 tonnellate di essi si trovano attualmente sulla Luna.

Tali detriti, senza dover pensare ai meteoriti, sono un pericolo per gli astronauti e per i numerosi satelliti che orbitano attorno al globo, ma intanto gli americani hanno deciso di lanciarne in orbita ben 18.000 di nuovi, con cui, dicono loro, assicurare la connessione internet a tutto il pianeta tramite le reti WiFi e 5G, le quali invero trasformeranno la Terra in un gigantesco forno a microonde, con gravi ripercussioni sulla salute dell'intero genere umano, ove non si receda.

mercoledì 20 settembre 2017

LA PAELLA

Confesso che amo la Spagna, in particolare la sua cucina. Se posso mangiare spagnolo lo faccio, infilo ingredienti spagnoli ovunque, a partire dal suo ottimo olio di oliva e dalle sue preziose spezie, e vado alla ricerca di combinazioni che ricordino profumi e sapori, soprattutto di Barcellona e di Maiorca: la paella, in particolare.

Tipicamente, quest'ultima contiene carne e/o pesce, ma, utilizzando prodotti dell'orto, ne può sortire una buonissima versione vegetariana, che si prepara nel seguente modo, per quattro persone, nel giro di un'ora.

Si versino in una teglia: ½ cucchiaino di pistilli di zafferano, 2 cucchiai di acqua calda, 6 cucchiai di olio d’oliva extravergine spremuto a freddo, 1 cipolla affettata, 3 spicchi d’aglio sminuzzati, 1 peperone rosso senza semi e tagliato a striscioline, 1 peperone giallo senza semi e tagliato a striscioline, 1 melanzana grande tagliata a dadini, 200 g di riso Roma, 600 ml di brodo di verdure, 450 grammi di pomodori rossi tagliati a dadini, 120 grammi di fagiolini tagliati a metà, 100 grammi di pisellini primavera, 400 grammi di fagioli borlotti in scatola, un vassoio di funghi coltivati, 1 cucchiaio di paprika dolce, 1/2 cucchiaio di paprika forte, sale marino integrale, pepe nero.

Ciò detto: 1 Mettere lo zafferano in acqua calda e lasciar riposare per 5 minuti.

2 Scaldare l’olio in una padella abbastanza grande e profonda (come un Wok) e soffriggere la cipolla senza farla imbiondire; quindi aggiungere aglio, peperoni e melanzana, e lasciar soffriggere per 5 minuti, mescolando quasi di continuo.

3 Aggiungere il riso e lasciarlo soffriggere con le verdure per 2 minuti, quindi versare tutto il brodo, lo zafferano con la sua acqua di ammollo e il pomodoro, mescolando, regolando di sale e pepe, e portando a bollore, quindi lasciar sobbollire per 15 minuti mescolando di tanto in tanto.

4. Aggiungere i fagioli borlotti, i pisellini, i fagiolini e i funghi, quindi trasferire il riso dentro una paellera o una teglia capiente e alta, mettere in forno caldo e cuocere a 180° fin quando il brodo non si é ritirato e in superficie non si é formata una crosticina. A metà cottura, quando il brodo inizia a ritirarsi, aggiungere 1 cucchiaio di paprika dolce e 1/2 cucchiaio di paprika forte e continuare a cuocere. 

Servire subito, portando in tavola la teglia calda.